Nel corso degli ultimi anni si stanno facendo i conti con il surriscaldamento globale: un fenomeno causato in gran parte dall’utilizzo dei combustibili fossili, come carbone e petrolio, per la produzione di energia. L’elettricità, per esempio, già a partire dalla metà del 1900 riveste un ruolo di fondamentale importanza all’interno delle abitazioni, basti pensare a quanta ne è necessaria solo per mantenere in funzione tutti gli elettrodomestici di uso quotidiano.


Il progresso ha dato vita a nuovi modi per produrre energia: dal carbone all’uranio passando per l’acqua e la luce solare, generando l’eterno dibattito tra energia proveniente da fonti rinnovabili e non rinnovabili.
Negli ultimi anni, infatti, tutto il mondo sta cercando di cambiare direzione su come produrre il quantitativo d’energia necessario a soddisfare il bisogno giornaliero di ogni singolo. Per questo, tanti sono i governi che stanno tentando di varare soluzioni innovative, così ad arrivare a generare nuova energia con un impatto ecologico pari a zero.


L’Unione Europea, già da qualche anno, ha dato il via alla transizione ecologica spronando gli stati membri nel ricercare le cosiddette soluzioni green: tutte quelle forme di energia generate da fonti rinnovabili.
Proprio in questo contesto, nel 2018 per la prima volta l’UE ha definito, per la promozione della produzione di energia rinnovabile, che cos’è una comunità energetica.
Una comunità energetica rinnovabile è un gruppo di soggetti che uniti, si organizzano per la produzione e la condivisione locale di energia, prodotta da fonti rinnovabili. Secondo la normativa ad oggi in vigore, è anche prevista la possibilità di vendere il surplus, se la quantità di energia prodotta è maggiore dell’effettivo consumo, a patto che questo non costituisca l’attività commerciale di un soggetto. In sostanza, non dev’essere un lavoro con una ben precisa forma di guadagno.
Creando una comunità energetica si passa da consumatori passivi (consumer) a consumatori attivi e produttori (prosumer). Ad oggi, è presente una direttiva Europea (UE 2018/2001 (RED II)), che definisce in maniera precisa tutti i requisiti fondamentali da rispettare per diventare prosumer. Per esempio, un parametro da rispettare è il seguente: “un gruppo di almeno due autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente e abitano nello stesso edificio o condominio”.
Le comunità energetiche offrono, anche nella loro complessità, una moltitudine di vantaggi. Uno di questi, è l’impatto ambientale pari a zero, poiché, per il loro corretto funzionamento, non necessitano di elementi, come i combustili fossili, che produrrebbero emissioni di gas. Inoltre, va considerato il vantaggio dal punto di vista sociale: riscrivere i paradigmi energetici di una comunità al ribasso, traendone un vantagggio sia in termini economici che ambientali.
Come in tutte le cose, però, ci sono anche degli svantaggi. In questo caso, strutture così tecnologicamente avanzate richiedono una costante manutenzione e, quindi, una maggiore manodopera, oltre ad un costo non irrilevante per l’installazione.
Ogni comunità è dotata di un proprio impianto che ha la funzione di trasformare, accumulare e trasferire energia. La prima fase è quella della produzione di energia sfruttando, al massimo, le risorse rinnovabili. Il metodo più comune che ad oggi abbiamo, e vediamo ampiamente adottato, è il fotovoltaico.

Sono i classici pannelli neri sui tetti delle abitazioni, che riescono a convertire i fotoni, in un campo elettrico in corrente continua. Una volta ottenuta la corrente che quotidianamente viene utilizzata, è necessario un apparato per immagazzinarne una determinata quantità. Per fare questo, sono stati ideati degli evoluti sistemi di storage che permettono l’accumulo dell’energia che non viene istantaneamente sfruttata. Nel caso in cui sia presente anche una sovrapproduzione, l’impianto deve essere collegato alla rete di distribuzione, mettendo cosi a disposizione la quantità in eccesso prodotta.
La realizzazione di strutture del genere è molto dispendiosa e per questo l’Italia, grazie anche ai finanziamenti Europei, ha voluto investire molto sui nuovi metodi di produzione pulita di energia, permettendo di effettuare qualche passo verso una vera trasformazione ecologica. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha dedicato circa il 31,05% della cifra totale per la rivoluzione verde e la transizione ecologica, gestita in modo molto preciso e dettagliato dall’apposito Ministero della Transizione Ecologica. Avendo questa grande somma a disposizione, approssimativamente intorno ai 70 miliardi di euro, lo stato ha erogato fondi, stabilendo anche nuove agevolazioni fiscali (Super Ecobonus 110%, Ecobonus, Bonus casa), per incentivare sempre più cittadini nella realizzazione di strutture eco-sostenibili.
In Italia, soprattutto negli ultimi anni, sono nate diverse comunità energetiche. Nel 2020, per esempio, nel comune di Magliano Alpi (Cuneo) è stata costruita la Comunità Energetica Rinnovabile Energy City Hall, con un un impianto fotovoltaico installato sul tetto del Palazzo Comunale, così da permettere la produzione e la condivisione della propria energia pulita.
Per concludere, dalle stime che l’Unione Europea ci fornisce, si pensa che entro il 2050 circa un terzo della popolazione europea, intorno 264 milioni di persone, diventerà prosumer, così da autogestirsi l’utilizzo di energie: un passo fondamentale che potrà cambiare radicalmente la situazione ambientale del nostro pianeta.

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