Nei primi giorni di novembre sui social si è riversata una nuova polemica, quella riguardante i meriti e i privilegi di Carlotta Rossignoli, raccontata e descritta dalle testate giornalistiche – da Repubblica al Corriere della Sera – come una sorta di super donna capace di primeggiare in ogni ambito della sua vita. In diverse occasioni Rossignoli ha svelato i segreti del suo successo, le sue personali tecniche che la hanno portata a laurearsi in Medicina e Chirurgia a soli 23 anni. Proprio le sue parole hanno scatenato le reazioni di utenti social e giornalistə, tra critiche ed elogi. Sarebbe il caso di chiedersi, allora: chi è Carlotta Rossignoli?
Classe 1999, la storia di Rossignoli è segnata quasi esclusivamente da successi. Come raccontato dal Corriere, è un’ottima pianista, campionessa di atletica e studentessa modello. Non solo riesce a diplomarsi presso l’Istituto Paritario “Alle Stimate” di Verona con un anno di anticipo, ma riesce anche a concludere a pieni voti la carriera universitaria, un anno prima del termine previsto dal suo ordinamento. Ma Rossignoli è anche influencer: nel suo profilo Instagram da migliaia di followers colleziona ricordi dei numerosi viaggi in giro per il mondo. Tra i suoi segreti lei stessa cita l’eccezionale capacità di organizzazione e la volontà di non perdere mai tempo – anche togliendolo al sonno, ritenuto quasi un lusso. Soprattutto queste sue ultime parole hanno portato numerosi utenti di Instagram, ma non solo, a esprimersi con aspre critiche nei suoi confronti, tanto da costringere Rossignoli ad allontanarsi temporaneamente dai social.
Sicuramente la sua storia non è comune, ma al contrario la narrazione che ne è stata fatta sembra ripercorrere una sceneggiatura tipica: quella della persona eccezionale, che con il suo solo impegno si è meritata una serie di successi che sembrano essere alla portata di tuttə.
In realtà l’impostazione del discorso sul merito manca di una fondamentale analisi: quella del privilegio e delle condizioni materiali di partenza. Come sottolinea Selvaggia Lucarelli per Domani Editoriale, Rossignoli non è una ragazza qualunque e la sua non è una famiglia comune. Non è tipico potersi permettere istruzione privata sia al liceo che all’università, corsi di pianoforte e atletica, tanto quanto non lo è avere possibilità di viaggiare continuamente con orologi pregiati al polso. Tentare di nascondere quanto i privilegi con cui si nasce influiscano sulle possibilità di riuscita dei propri progetti è una caratteristica ricorrente di questo tipo di discorsi.
Sottolineare la natura fallace della retorica del merito non è però una questione di invidia o di delegittimazione, come alcune personalità hanno affermato. Riconoscere che il concetto stesso di merito sia vuoto non vuol dire non riconoscere i successi e le capacità di chi viene elogiato dai giornali, ma spostare l’attenzione su un problema diverso, cioè la possibilità di accesso a quel successo tanto agognato. Affermare che Rossignoli abbia vissuto nel privilegio economico non significa negarle l’euforia e la soddisfazione di un momento importante come la laurea. Vuol dire riconoscere che, a fronte della quantità di articoli riguardanti casi di giovani da record, manca completamente la controparte di analisi di come sia possibile riuscire ad arrivare così in alto, delle condizioni di partenza che aprono la strada verso le infinite possibilità che tendenzialmente queste persone possiedono.
Manca, in sintesi, un’analisi del contesto universitario, di quanto troppo poco spesso le istituzioni si preoccupino di garantire un reale diritto allo studio. A partire dal numero limitato di posti negli studentati e di borse di studio erogate, fino all’insufficienza delle stesse per poter effettivamente sopravvivere da fuorisede, la vita universitaria molto raramente si avvicina a quell’ideale di studente modello. Al contrario, sono numerosissimə lə studentə la cui salute mentale risente fortemente del clima di competizione costante e dell’assoluta noncuranza con cui spesso vengono trattati i loro problemi.
Fingere che in un contesto del genere il merito possa misurarsi solo ed unicamente attraverso il voto di laurea e il numero di anni impiegati ad ottenerla vuol dire illudersi di vivere in un’utopia meritocratica.
Mettere in dubbio la validità del concetto stesso di merito vuol dire proprio questo. Ha senso parlare del merito di una singola persona che con la sua dedizione è riuscita a bruciare tutte le tappe, di fronte a migliaia di altre che sacrificano gran parte della loro vita e della loro persona solo per potersi avvicinare al punto da cui quella stessa persona è partita?
Come affermato dalla pagina di riflessione filosofica Tlon, il merito comunemente inteso nasconde tutto questo tipo di osservazione. Questo termine perde ancora più di senso se si pensa a quanto esso venga poi associato alla morale cattolica del sacrificio. Meritare qualcosa vuol dire aver sacrificato il più possibile per ottenerla. Ma chi sacrifica di più, chi nasce con una serie di privilegi o chi deve fare di tutto pur di sopravvivere?
Probabilmente è necessario rinunciare completamente alla retorica del merito per abbracciare qualcosa di diverso. Soprattutto in un contesto in cui il governo stesso associa tale parola addirittura all’istruzione, lasciando velatamente intendere che la scuola in generale debba occuparsi di verificare il merito delle singole soggettività in una gara costante sulle proprie capacità. Nulla di più sbagliato: la scuola non è un’azienda, o almeno non dovrebbe esserlo. Al contrario dovrebbe occuparsi di formare l’identità di chi la frequenta e dare loro gli strumenti per potersi comprendere e per provare a interpretare il mondo attuale, o almeno a viverci. E per farlo è necessaria una riflessione sistemica sul potere e sulle narrazioni, che abbandoni presto i singoli casi, su cui per esempio Lucarelli si sofferma. Ricondurre le problematiche solo al singolo porta a un conflitto interno che nulla ha a che fare con l’analisi del privilegio, e che crea solo nuove vittime, come Rossignoli stessa è diventata nel momento in cui ha sentito la necessità di nascondereil suo profilo Instagram.
Abbandonare la narrazione del merito dovrebbe servire proprio a riconoscere i propri privilegi e le differenze tra le vite delle singole soggettività, non con spirito di autodemolizione, ma con l’obiettivo di comprendere e di svelare le trame ingiuste su cui è tessuta la nostra società, per potersi riappropriare infine delle proprie piccole storie di vita.
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