Il tema dell’identità di genere si basa su un concetto molto semplice: ognuno è libero di assegnarsi il proprio genere, indipendentemente dal sesso biologico. Cambia a seconda della percezione di sé e supera nettamente la divisione binaria dei sessi: ci si può identificare come donna, uomo, come persona bigender, agender, genderqueer, e anche modificare il proprio modo di identificarsi in modo fluido e personale. Di conseguenza, la distinzione tra cose da maschi e cose da femmine crolla. È diventato fuori moda e inadatto per rappresentare la società di oggi.

Quello che indossiamo parla di noi, riflette il nostro stato d’animo, i nostri gusti e la nostra personalità. I vestiti che abbiamo nell’armadio evolvono insieme a noi, ci accompagnano nella crescita ed è per questo che diventano il simbolo di un’identità in perenne mutamento. Non è una semplice tendenza, ma lo specchio di un fenomeno sociale. Di uno stile di vita. Per questo motivo la Generazione Z è diventata portavoce di questo desiderio di libertà di espressione e voglia di vivere in un mondo senza etichette.

La fluidità si riflette anche nel mondo della moda, che in questo periodo storico sente la responsabilità di promuovere la body inclusivity sotto diversi punti di vista. Ciò significa rivedere il tutto in un’ottica gender free, promuovendo outfit interscambiabili e annullando la distinzione dei capi da donna o da uomo. Ma attenzione: qui non si parla di uomo che si veste da donna (o viceversa), assolutamente. La moda genderless si rivolge a persone che vogliono indossare ciò che sentono, infischiandosene di targhette e categorizzazioni.

Al di fuori dei luoghi e dei contesti in cui le sottoculture queer già da tempo sovvertivano qualsiasi norma, il pioniere di una moda gender fluid è stato Giorgio Armani. Tutto il suo percorso creativo è basato sulla volontà di avvicinare i due sessi, annullando il più possibile le differenze. Lui stesso ha respinto la definizione di unisex per la sua moda, mettendo invece l’accento sulla «rivendicazione della dolcezza per l’uomo e della forza per la donna».

La creazione rivoluzionaria, in tal senso, è stata la giacca destrutturata, presentata alla fine degli anni Settanta e ovviamente considerata all’epoca come dimostrazione di coraggio e provocazione. Vennero tolti sostegni e imbottiture, spostati i bottoni, modificate le spalline. Abbandonando così quel rigore ritenuto dallo stilista troppo vincolante. «Elimino la differenza tra uomo e donna. Ho dato all’uomo la scioltezza e la morbidezza della donna e alla donna l’eleganza e il comfort dell’uomo.»

Nel 1984 Jean-Paul Gaultier presenta l’indimenticabile collezione Men in skirts, facendo indossare ai suoi modelli gonne di svariate tipologie. Nel 2015,  il nuovo direttore creativo di Gucci, Alessandro Michele, debutta dichiarando  che «la moda dovrebbe essere senza genere. Il modo in cui ti vesti è il modo in cui ti senti, il modo in cui vivi, ciò che leggi, le tue scelte.»

Più recentemente, negli anni 2010, lo stile genderless è entrato in uso nel settore della moda, tanto che nel 2018 l’organizzatore della New York Fashion Week ha aggiunto unisex/non binario come nuova categoria, con conseguente riflesso anche sui marchi della fast fashion come C&A, H&M, Zara, Benetton e Selfridges.

Negli ultimi mesi infine abbiamo assistito ad un moltiplicarsi di brand che hanno accettato la stessa scommessa: da Yves Saint Laurent a Louis Vuitton, da Prada a Tommy Hilfiger e Jimmy Choo, da Puma a Converse, l’elenco si allunga costantemente.

La moda genderless o gender neutral mira ad abbattere gli stereotipi di genere invocando la libertà di espressione e il trionfo dell’inclusività. Un andamento pronto a una rivoluzione, dal momento in cui il settore oggi guarda al totale annullamento della divisione per lui e per lei, studiando silhouette e forme in grado di adattarsi a tutti i corpi. La genderless fashion rappresenta un mondo senza distinzioni di genere e, perché no, anche il futuro della moda.

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