«I gay sono benvenuti in Qatar ma evitino manifestazioni pubbliche di affetto»Così Nasser Al Khater, direttore esecutivo del Comitato Organizzatore del torneo, risponde alle dichiarazioni di Joshua Cavallo, primo calciatore al mondo a fare coming out in una massima categoria professionistica, che ha riferito ai giornali: “Avrei paura a giocare nello stato del Golfo”.
Khater continua: “Agli omossessuali chiediamo di rispettare la cultura locale”. Secondo la Sharia, infatti, l’omosessualità è punibile anche con la morte, anche se ad oggi non ci sono precedenti di condanne capitali per tale ragione. A questo proposito la Fifa, seppur sollecitata a rispondere a queste dichiarazioni, non si è espressa. Il rumoroso silenzio della federazione denota sicuramente degli interessi economici da tutelare ma indubbiamente anche un sistema calcio ancora molto, fin troppo elastico rispetto alla tutela della comunità LGBTIA+. Sembra però che qualcosa si stia muovendo, a partire dai calciatori stessi.

Il 27 ottobre 2021 Joshua Cavallo ha segnato un prima e un dopo nella storia del calcio. Il giocatore dell’Adelaide United (A-League australiana) diventa il primo e unico calcatore professionista in attività al mondo, in un massimo campionato, a essersi dichiarato omosessuale. Un unicum che descrive quanto il calcio, al 2021, sia indietro nel costruire una mentalità aperta, rispetto ad altri sport dove c’è molta più libertà nell’esprimere il proprio orientamento sessuale. A supporto di questa triste constatazione troviamo la resistenza di giocatori che rappresentano delle leggende nel mondo del futbol.

Recentemente, l’ex capitano della Nazionale tedesca e del Bayern Monaco, Philipp Lahm, nel suo libro Das Spiel. Die Welt des Fussbals, ha chiaramente invitato i suoi colleghi a non fare coming out. Due passaggi del libro spiegano il suo pensiero: “Se qualcuno avesse in mente di farlo e dovesse chiedermi consiglio, gli suggerirei di consultarsi con una persona di fiducia e fare onestamente i conti con sé stesso, su quali siano i veri motivi per questo passo” e aggiunge “Non gli consiglierei mai di parlare di questo tema con i suoi compagni di squadra”.

A tal proposito, Rosario Coco, ex giocatore dell’Ostia – primo calciatore professionista a fare coming out in Italia –  referente per Roma di Gaynet, ha coordinato il progetto Outsport, iniziativa nata da una costola dell’AICS (Associazione Italiana Cultura Sport). La ricerca ha portato alla luce che in Italia il 41% delle persone della comunità LGBTIA+ che praticano sport, non fa coming out. Inoltre, lo sport dal quale ci si allontana di più a causa delle discriminazioni sessuali è, in assoluto, il calcio.

“Il problema è culturale, l’omotransfobia riguarda trasversalmente tutta la società e dunque riguarda la vasta base di tifosi che sostiene l’intero movimento calcistico, ma anche le strutture federali, le squadre, i dirigenti, gli allenatori. Il tabù nasce dalla mentalità diffusa che impone a chi fa parte di uno spogliatoio un atteggiamento standardizzato. Bisogna mostrare di essere eterosessuali, senza alternative. Chi non lo fa viene messo ai margini”. Ha chiosato Coco.

Se si pensa che il calcio è lo sport più seguito in Italia e in molti paesi Europei, la domanda sorge spontanea: in che percentuale è un problema del sistema calcio e in che percentuale lo è per la società intera?

Una persona non dovrebbe dover limitare la propria identità, a maggior ragione sul proprio posto di lavoro. Dovrebbero essere le società sportive, le federazioni e i soggetti interessati a percepire quanto questo tema non sia solo attuale ma una priorità. Tutti i giocatori devono sentirsi liberi di esprimere sé stessi senza essere soffocati da un sistema negligente. Una svolta dell’intero mondo del calcio avrebbe un impatto mediatico enorme che riuscirebbe a sensibilizzare anche una fetta di popolazione che spesso vede nel calcio uno degli ultimi covi di ignoranza e mascolinità tossica.

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