Sono già pronti i preparativi per festeggiare i 70 anni di Regno della Monarca britannica, la prima nella storia a celebrare il Giubileo di Platino, nonché la più longeva di sempre. La Regina Elisabetta II, 96 candeline spente lo scorso 21 aprile, è recentemente tornata in auge sui tabloid inglesi per aver contratto l’infezione da SarS-CoV2, dalla quale fortunatamente è guarita. 

Molti reali della storia monarchica inglese, però, non hanno avuto la stessa fortuna, e anzi sono venuti a mancare in giovane età. Un esempio eclatante ci viene fornito dalla storia del Principe Leopoldo, figlio di Vittoria, Regina del Regno Unito e Imperatrice delle Indie dal 1837 al 1901, periodo storico noto appunto come età vittoriana.

La monarca sposò suo cugino, il principe Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha, nel 1840. I due ebbero 9 figli e 20 nipoti, molti dei quali si sposarono con altri membri dell’aristocrazia e della nobiltà europea, incrociando le linee ereditarie tra di loro, motivo per cui veniva considerata la nonna d’Europa. Tuttavia, era ignara di essere una portatrice sana di emofilia.

Si ritiene infatti che fu verosimilmente una mutazione spontanea insorta nel patrimonio genetico della Regina Vittoria ad essere la causa di quella che da molti è considerata una vera maledizione in grado di terrorizzare le casate reali dell’intera Europa nella seconda metà dell’Ottocento, colpendo appunto proprio il Principe Leopoldo. 

Si narra che fin da piccolo gli arti del Principe erano pieni di lividi; le articolazioni gonfie, dolenti e bluastre; le urine spesso venate di sangue. Per di più gli improvvisi sanguinamenti, anche senza cause apparenti, e la forte stanchezza lo costringevano a stare a lungo a letto. Sempre più insofferente dei limiti che gli imponeva la madre per proteggerlo, Leopoldo morì a soli 31 anni per un’emorragia cerebrale insorta dopo una banale caduta rimediata presso lo yacht club di Cannes, luogo in cui era fuggito.

Questa tragica morte, che scosse le corti di tutta Europa, ha come causa l’emofilia, nota come la malattia del sangue bluproprio perché associata alla comparsa di lividi bluastri nei giovani rampolli reali.

L’emofilia è una malattia rara del sangue. Si trasmette per via ereditaria ed è causata da una mutazione che colpisce un gene localizzato sul cromosoma sessuale X. Esistono due forme più comuni di emofilia: l’emofilia A, che dipende da una carenza del fattore VIII della coagulazione e che interessa un bambino ogni 5.000-10.000 nati, e l’emofilia B, causata da un deficit del fattore IX, meno frequente, che colpisce una persona ogni 30.000-50.000 nati.

La patologia si presenta quasi esclusivamente nel sesso maschile, il più delle volte si manifesta sin dalla nascita, mentre le donne sono per lo più portatrici sane del difetto genetico. Il malato di emofilia soffre per la carenza di importanti proteine prodotte dal fegato (i citati fattori VIII o IX) che regolano la coagulazione del sangue e che in condizioni normali evitano che si possano formare dei coaguli (trombi) o che al contrario il sangue diventi troppo fluido. La minor produzione di queste proteine, come conseguenza del difetto genetico, predispone ad un alto rischio di avere dei sanguinamenti spontanei o a seguito di piccoli traumi che normalmente non avrebbero conseguenze. In particolare, i sanguinamenti possono interessare tipicamente le articolazioni (emartri) o organi vitali con conseguenze purtroppo fatali (emorragie cerebrali o emorragie interne).

Diceva Carl Sagan, noto astronomo e divulgatore scientifico statunitense, che «da qualche parte, qualcosa di incredibile aspetta di essere conosciuto», a ribadire quanto sia importante conoscere e scoprire, specie quando si parla di malattie rare.

L’11 aprile di ogni anno si celebra la giornata mondiale dell’emofilia, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di conoscere questa malattia che, seppur considerata rara, si stima interessi in Italia circa 5.000 pazienti (dati del Registro nazionale delle Coagulopatie congenite). Di questi, 4.109 sono affetti da emofilia A, 882 da emofilia B. 

Di certo non è mai facile né per il bambino né per la sua famiglia ricevere una diagnosi di emofilia considerate tutte le conseguenze sociali e psicologiche che essa può comportare nella fase di crescita e sviluppo di un individuo.

Grazie alla ricerca scientifica, oggi abbiamo strumenti che ci consentono di diagnosticare ancor prima della nascita l’emofilia, con approcci terapeutici innovativi che consentono al malato di condurre una vita pressoché normale sia in termini di qualità che di aspettative di vita rispetto al recente passato. 

Per ulteriori informazioni sull’argomento è possibile rivolgersi ai canali istituzionali dell’Associazione Italiana dei Centri Emofilia che da anni si batte per dar voce alle istanze di migliaia di malati e famiglie.

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