Attendendo il passaggio della corsa si incontrano persone sconosciute che magari abitano a due chilometri da casa tua. Si parla della gara, di chi vincerà quella tappa, di quanto erano straordinarie le imprese di Pantani e del tempo che passa inesorabile. Potrebbe anche non esserci scambio di parole. Un cenno e prendi posto sul ciglio della strada attendendo che l’emozione di quei pochi secondi ti travolga, sperando che una borraccia rotoli verso di te, la prova inconfutabile di essere stato parte di quel momento, di quel rito. Il sorriso regalato a quel passante è il Giro d’Italia.

È scattata oggi l’edizione 2022 della Corsa Rosa, con la prima tappa da Budapest a Visegrad. Come talvolta accade, Il Giro parte dall’estero: le prime tre tappe si percorreranno in terra magiara perché questo è il mercato, nonostante non sia un territorio avvezzo al ciclismo (poco male) e la guida politica sia in conflitto non solo con l’Europa, ma con i valori che questo sport esprime da più di un secolo. Ha vinto con una volata in leggera salita quel tuono intrappolato nel corpo di Mathieu Van der Poel, messo alle corde da Biniam Girmay, secondo, di cui ancora non si conoscono i limiti. Appuntamento a domani per la cronometro di Budapest con il figlio di Adrie in rosa.

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Concluso il weekend fra i Carpazi, dopo il primo giorno di riposo per permettere alla carovana di tornare in Italia, si ripartirà dalla Sicilia con il primo arrivo in salita, fra la cenere e i lapilli della cima dell’Etna. Lì inizieranno verosimilmente le schermaglie fra i pretendenti alla vittoria finale. Ostilità che proseguiranno nel corso della settima tappa, fra Diamante e Potenza, e della nona, a chiudere la prima settimana, dove è previsto l’arrivo sulle pendenze da capogiro del Blockhaus. Lì dove Eddy Merckx vinse nel 1967 la sua prima tappa al Giro. Per spiegare la grandezza del cannibale e la rilevanza di un evento del genere: è come se una creatura mitologica perfetta, con il talento e il genio fuso di Maradona, Pelè, Messi e Van Basten avesse segnato il primo goal da professionista in una delle due porte dello Stadio Adriatico di Pescara.

Risalendo la penisola come Garibaldi, il gruppo comincerà a fare i conti, durante la seconda settimana, con le Alpi, nel corso della tappa con arrivo a Torino e, il giorno dopo, con quella di Cogne. La terza settimana è per stomaci forti: Mortirolo, Fedaia, Pordoi, San Pelllegrino e Valico di Santa Cristina sono le salite principali, con la cronometro (non proibitiva, 17 km), e l’arrivo conclusivo all’interno dell’Arena di Verona. Dopo 3445 chilometri e oltre 51000 metri di dislivello l’edizione numero 105 del Giro passerà agli archivi.

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Vinta da chi? Come nel 2019, vuole entrare in rosa sempre all’interno dell’Arena di Verona, Richard Carapaz, campione olimpico in linea e favorito numero uno alla vigilia, non fosse altro per la squadra al suo supporto e perché questa corsa, non propriamente un dettaglio, l’ha già vinta.

Cercheranno di rendergli il boccone indigesto Joao Almeida, Simon Yates – terzo l’anno scorso – Miguel Angel Lopez, Tom Dumoulin – vincitore nel 2017 – e Mikel Landa. Menzione d’onore per Alejandro Valverde che a quarantadue anni percorrerà il Giro d’Italia per la seconda e ultima volta, in forza del ritiro annunciato a fine stagione. Potrebbe essere l’ultimo ballo anche per Vincenzo Nibali. Lo squalo dello stretto ha rimandato ogni tipo di decisione sul suo futuro al termine della corsa. È lui l’ultimo vincitore italiano, anno 2016 (ne ha vinto un altro nel 2013) e il suo scettro non è stato ancora raccolto da nessun giovane rampante della penisola. Fiumi di inchiostro sono stati versati per analizzare, spiegare, minimizzare, esasperare, banchettare sulla crisi del ciclismo nostrano soprattutto in materia di grandi corse a tappe. Non sarà questa la sede per trovarla. Forse quest’anno Nibali si ritirerà ed è già un dramma.

Anche se il ciclismo sfugge alle logiche locali, di lotte di quartiere, di squadre avverse, di acque avvelenate tipiche del pallone. Ciò che conta in questo sport, e il Giro d’Italia ne è la perfetta raffigurazione, è la fatica, l’impegno. È ciò che c’è dietro, ciò che non appare e ciò che è nel mezzo. Le ricorrenze, gli anniversari, i cimiteri di guerra, la memoria, la didattica; quei posti dimenticati da Dio che diventano celebri grazie ad un’impresa, un’immagine, un volto, un ricordo, una sensazione. Quelle strade dissestate dimenticate dalle amministrazioni che tornano a nuova vita grazie a un velo di bitume spolverato, che permette il passaggio in sicurezza della Corsa Rosa. Il rito collettivo di scendere in strada, abbandonare le carte stropicciate dell’ufficio, attendere i corridori sotto il sole di maggio. Un modo per uscire dal logorio della vita moderna e regalarsi un momento di lentezza; la velocità se la prendono i ciclisti. E arrivano sotto casa, non c’è un biglietto da pagare o un abbonamento da sottoscrivere. È l’ultima catarsi popolare. Una somma di piccole cose, oltre la corsa, oltre lo sport, oltre l’agonismo, oltre noi. È il senso della comunità.

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