La comunità LGBTQIA+ può essere concepita come una grande famiglia di minoranze, ognuna con la propria identità e le proprie battaglie, tutte unite intorno ad un focolare comune. La narrazione però non è sempre stata così idilliaca. Come in ogni famiglia i problemi sono all’ordine del giorno e per riuscire a sedersi allo stesso tavolo ci è voluto molto tempo come anche per decidere come chiamarsi e quale simbolo identitario adottare.

Nelle righe che seguono si prova a spiegare l’evoluzione della acronimo che dà il nome alla comunità e della bandiera arcobaleno.

Acronimo

Il racconto inizia nel lontano 1988, l’anno in cui apparse per la prima volta, tra le file degli attivisti, la sigla LGBT. Da questo momento in poi si consolida l’uso dell’acronimo che per esteso indicava l’unione di Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender. Sebbene le dispute interne continuassero, il termine LGBT è diventato un simbolo positivo di inclusione.

È (quasi) tempo di Pride

Con il passare degli anni alcune minoranze rimaste fuori dall’acronimo, se pur ricomprese all’interno della comunità, hanno sollecitato l’ampliamento della sigla fino ad arrivare alla versione attuale LGBTQIA+. L’integrazione vede l’aggiunta delle lettere “Q”, che indica l’aggettivo queer o secondo altri la parola question, ad indicare qualcuno che mette in dubbio il proprio orientamento sessuale o identità di genere, la lettera “I”, intersessuali, la “A” di asessuali e il “+” a dimostrazione che la comunità vuole rappresentare ulteriori identità, e che le definizioni non sono scritte nella pietra, ma in continuo cambiamento.

Qualcuno potrebbe chiedersi come mai non si sia trovato un nome più lineare e rappresentativo di un acronimo. Come spesso accade, ci si è provato. L’alternativa più valida che è stata adottata è il termine ombrello “queer” che genericamente indica persone che non sono eterosessuali o non sono cisgender. A tal proposito si riporta un estratto di un’intervista rilasciata a gay.it dalla scrittrice e attivista Antonia Caruso in cui si parla della sostituzione della sigla con la parola queer, “Questa liofilizzazione semantica ha sicuramente portato una certa agilità d’uso ma a discapito della complessità”. Una sintesi che ben fa capire quanto sia importate chiamare le cose con il proprio nome, se pur con acronimi cacofonici. La complessità è una caratteristica intrinseca della comunità LGBTQIA+ e l’unico modo per renderla di facile comprensione è la sensibilizzazione e non la semplificazione.

L’acronimo racconta la storia delle conquiste ottenute in termini di diritti civili e di attenzione sociale e mediatica, passo dopo passo, una storia che continuerà ad essere scritta.

Bandiera

Il simbolo più iconico della comunità LGBTQIA+ è la sua bandiera. È stata creata nel 1978 a San Francisco dalle mani dell’artista di Gilbert Baker ed esposta per la prima volta nella marcia del Gay pride il 25 giugno dello stesso anno. In origine aveva otto colori, ognuno simboleggiante un aspetto caro alla simbologia New age (serenità, spiritualità, natura, vita, sessualità, …). Ad ispirare l’artista è stata la canzone “Over the Rainbow” di Judy Garland, colonna sonora del film “Il Mago di Oz”.

La bandiera rappresentativa della comunità si differenzia dalla bandiera della pace principalmente per l’assenza della scritta “PACE” e per la disposizione dei colori speculare.

Per ragioni di difficoltà e costo nel reperire tutti i colori previsti, le tinte si sono successivamente ridotte prima a sette e poi alle attuali sei. Su questo impianto, negli ultimi anni sono stati proprio gli accenti identitari ad ampliare tanto la sigla della comunità quanto i colori della bandiera: la More Colour More Pride Flag o Philadelphia Flag è una delle più recenti varianti della bandiera Rainbow moderna. In questa versione sono stati aggiunti due colori, il nero e il marrone, rispettivamente per commemorare i membri della comunità portati via dall’AIDS e le persone appartenenti alla comunità nera. L’ultima versione proposta vede l’aggiunta di un triangolo laterale, a sinistra, formato da 4 strisce, rispettivamente dall’esterno all’interno, di colore: nero, marrone, azzurro, rosa e un triangolo bianco, questi ultimi tre colori a simboleggiare le persone transessuali. La bandiera viene chiamata Progress Pride Flag ed è stata realizzata ed ideata da Daniel Quasar.

Due dei simboli cardine della comunità LGBTQIA+, l’acronimo e la bandiera, hanno visto numerosi sviluppi tesi a restare al passo con le battaglie per i diritti civili di ogni minoranza che la compone. Una evoluzione continua che certifica quanto l’unione faccia la forza. Solo con questo gioco di squadra si riescono ad ottenere dei risultati finalizzati al pieno raggiungimento di tutte le possibili libertà.

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