Lo scorso 28 giugno, il Cassero LGBTI+ Center di Bologna ha festeggiato i suoi primi 40 anni, alla presenza di personalità che hanno segnato la storia della comunità queer bolognese.
Il Mese del Pride a Bologna è orgoglio anche per i festeggiamenti del Cassero, tenutisi proprio la sera di martedì 28 giugno. Sono passati 40 anni da quel lontano 1982 in cui, a seguito del primo pride bolognese, veniva conquistato il cassero di Porta Saragozza, ex sede dell’attuale “circolo politico impegnato nel riconoscimento dei diritti delle persone trans*, bisessuali, lesbiche e gay, uno spazio culturale che progetta e realizza rassegne artistiche e attività di aggregazione sociale e di intrattenimento, un laboratorio attivo nello sviluppo di servizi dedicati al benessere e alla tutela della nostra comunità”. Ora si trova presso la Salaria, un vecchio magazzino del sale adiacente Porta Lame. Questo, da sempre, è uno spazio in cui ognuno può sentirsi libero di esprimere la propria unicità e di fare comunità.
Dopo vari conflitti con la cittadinanza e le diverse associazioni della città, la comunità omosessuale del tempo riuscì ad imporsi, cosicché il 19 dicembre dello stesso anno inaugurò ufficialmente i propri spazi. Il taglio del nastro fu affidato a Valery. La stessa che, dopo 40 anni, ha tagliato simbolicamente la torta per i festeggiamenti dei 40 anni del Cassero. Per lei Alfredo Cohen scrisse la canzone Valery, la quale fu poi trasformata in Alexanderplatz, dallo stesso Cohen, Franco Battiato e Giusto Pio e cantata da Milva.
Dalle sue parole traspariva tutta la forza di una donna che combatte e ha combattuto per i propri e altrui diritti per tutta la sua esistenza.
Altra ospite della serata è stata Lucy Salani, considerata l’unica donna trans ad essere sopravvissuta ai campi di concentramento. Classe 1924, fu deportata a Dachau nel 1944 dove rimase per 6 mesi fino alla liberazione. Su di lei sono stati scritti libri e tra il 2020 e il 2021 Matteo Botrugno e Daniele Coluccini hanno girato il film documentario C’è un soffio di vita soltanto. Il film racconta la sua vita di tutti i giorni nella Bologna di oggi e in alcuni momenti a Dachau. Il titolo del documentario è preso da un verso finale di una poesia scritta da Lucy stessa.
La fortuna di poter ancora ascoltare le parole di queste persone, che hanno vissuto sulla loro pelle tutte le violenze del tempo, non deve essere altro che un monito alla gratitudine.
La presenza di queste icone della comunità LGBTQ+, così carismatiche e magnetiche, riunite in occasione di questa celebrazione è stato un privilegio per i presenti.
È importante mantenere viva la memoria, per non dimenticare il passato e per affermare i propri diritti oggi.