30 dicembre 2021. Sono isolato da ormai 7 giorni e il tempo sembra passare molto più lentamente del solito. Venerdì 24, in piena atmosfera natalizia e spinto da un insolito senso di responsabilità, decido di sottopormi a un tampone rapido per individuare una possibile infezione da Covid-19. Sicuro della mia negatività, non avendo sintomi d’altronde, mi convinco di aver fatto la cosa giusta in vista delle imminenti festività, in cui sarei stato a contatto con parenti, amici e conoscenti. Dopo aver fatto il tampone torno a casa tranquillo, pronto ad immergermi nelle festività, mi dimentico completamente del tampone effettuato 20 minuti prima e corro in bagno a darmi una sistemata.
Il telefono squilla: numero sconosciuto. Rispondo. “Salve, siamo della Farmacia ********, il suo risultato è positivo, deve isolarsi e contattare il suo medico di base.”
Non so descrivere precisamente la sensazione che ho provato. La mia testa era già proiettata verso le conseguenze che tale situazione avrebbe provocato. Mi sono sentito impotente, non c’era nulla che potessi fare per porvi rimedio e ricordo di esser stato pervaso da un senso di colpa che, seppur immotivato, mi ha reso parecchio triste.
Fin dai primi giorni di isolamento mi sono chiesto quali potessero essere gli effetti a lungo termine di questa pandemia. Quindici, venti, trenta giorni passati in una stanza senza contatti con il mondo esterno, cosi come il ritorno alla socialità, con l’inquietudine di potersi ritrovare di nuovo a doversi isolare per un nuovo contagio. Così ho pensato di leggere qualche dato e di informarmi sui rischi che un momento come questo può comportare.
A distanza di ormai due anni dall’inizio della pandemia, gli esperti hanno cominciato a porre in rilevo il fenomeno del “worry burnout”. Una condizione di esaurimento, derivata dallo stato di costante allerta che si perpetua ormai da tempo e di conseguenza non può essere sostenuta per un lungo periodo.
L’ansia e la paura non vengono più percepite con razionalità, perdendo la loro potenza e dando spazio ad uno stato di costante stanchezza emotiva dove la preoccupazione lascia spazio alla rassegnazione.
“Ormai non seguo più i notiziari né mi informo sulla situazione pandemica. È diventato angosciante, speravo che con i vaccini fosse diverso ma vedere che dopo due anni si parla ancora di quarantene e restrizioni mi lascia indifferente ma anche perplessa”. Le parole di Cristina (nome di fantasia, ndr), 20 anni, sono significative perché riassumono lo stato d’animo ed emotivo della maggior parte dei giovani.
Il “worry burnout” nonostante sia un meccanismo di difesa per la nostra salute mentale, può rappresentare un grosso pericolo poiché può condizionare la percezione del pericolo e le misure di protezione e prevenzione che adottiamo. Secondo l’OMS questa “Pandemic fatigue” (letteralmente “fatica da pandemia”) rappresenta uno dei principali ostacoli al rispetto delle misure anti-contagio e l’apatia che stiamo vivendo potrebbe avere grosse conseguenze su scala mondiale.
Gli effetti della pandemia sulla salute mentale sono ormai noti e confermati da molti studi. In particolare la rivista Lancet ha stimato un aumento globale di 53 milioni di casi di depressione e 76 milioni di casi di disturbi d’ansia solo nel 2020. In Italia, da un indagine dell’Istituto Piepoli redatta per il Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi, emerge che sono aumentati dell’83% i disturbi legati all’ansia, del 72% i problemi di depressione e del 61% quelli relazionali. Ed è ancora più allarmante il dato che riguarda i giovani con un incremento del 31% di minori e del 36% nella fascia di età tra i 18 ed i 24 anni.
Malgrado gli appelli dell’Ordine Nazionale degli Psicologi l’attuale governo sembra rimanere impassibile di fronte a dei dati evidenti ed allarmanti. Nella legge di Bilancio discussa in questi giorni si era fatta avanti l’ipotesi di una misura volta a mitigare i danni della pandemia sulla salute mentale, il “Bonus psicologo”, norma proposta da Caterina Biti del Partito Democratico e condivisa da molti. Il provvedimento, che inizialmente aveva vinto anche l’iniziale resistenza del Ministero della Salute, alla fine, non ha trovato spazio nella nuova Legge di Bilancio.
La salute mentale, nonostante la pandemia, continua ad essere un tabù.
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