“Ultimo chilometro.”

“Ultimi mille metri per il sogno Sanremo, per Nibali. Ormai è quasi in vista del rettilineo, siamo nella zona della Fontana per Vincenzo Nibali. Con la Quick-step floors di Elia Viviani sulla cui ruota c’è Arnaud Demare. Va Vincenzo Nibali, va Vincenzo Nibali per un arrivo solitario, sarebbe l’arrivo del sogno per coronare una carriera già comunque straordinaria. Il nostro Numero 1, Vincenzo Nibali, che adesso non deve voltarsi, non deve neanche guardare sotto perché il gruppo si sta pericolosamente avvicinando a Nibali. 7 ore e 18 minuti.

“Forza Vincenzo, ultime pedalate.”

“Nibali che mantiene ancora un vantaggio di una cinquantina di metri, siamo agli ultimi duecento metri per Vincenzo Nibali.”

“Lanciato lo sprint da Richeze”.

“Dietro, intanto, hanno lanciato lo sprint per Elia Viviani, con Nibali che mantiene comunque un discreto margine di vantaggio, non ti voltare Vincenzo, non ti voltare perché dietro stanno per arrivare. Adesso sì. Ed è Italia, grande Italia, finalmente alla Sanremo.”

“Straordinario”.

“Con il nostro numero uno, con lui, solo con lui poteva essere, con Vincenzo Nibali. Un trionfo, un vero e proprio capolavoro. Partito sul Poggio all’attacco, ha aspettato per poter iniziare la sua azione. E poi cosa non ha fatto in discesa, cosa non ha fatto soprattutto in questo tratto pianeggiante.”

“Francesco, io non ho aggettivi da utilizzare. Una corsa che ormai sembrava a portata di mano dei velocisti che erano riusciti a narcotizzarla, nonostante le condizioni metereologiche avverse. È un Vincenzo Nibali che si è inventato il numero della vita.”

È l’ultimo chilometro della Milano Sanremo 2018, narrato dalle voci dei telecronisti Rai Francesco Pancani e Silvio Martinello. È forse la vittoria più esaltante della straordinaria carriera di Vincenzo Nibali, nonostante i due Giri, il Tour, la Vuelta, due Lombardia e altre decine di gare. Di sicuro la più inaspettata, visto il percorso, visti gli avversari, vista la storia. Lo scatto e poi la discesa a perdifiato dal Poggio, la lunga rincorsa fino alla soglia del paradiso, che è il traguardo, dove lasciar esplodere la gioia levando le braccia al cielo. Nelle orecchie il racconto senza respiro di Pancani, che gli implora di non voltarsi, quando sono sempre meno i metri che lo dividono dal gruppo, che brama di fagocitarlo senza possibilità di risparmiarlo. È una vittoria che entra nel mito. Anzi, riesce a sovvertirlo.

Orfeo libera Euridice dall’Ade, Peter Paul Rubens, 1636-1638. Museo del Prado, Madrid.

Orfeo, era un musicista e poeta. Ogni creatura è inesorabilmente attratta dalla sua arte, ma lui ha occhi solo per Euridice, una splendida ninfa. I due si innamorano, si sposano e iniziano la loro vita insieme, fino a che Aristeo, ebbro di amore per Euridice, comincia ad infastidirla, sino a spaventarla. La ninfa fugge dal suo aggressore nell’erba alta, inciampa su di un serpente velenoso, che per spontanea reazione la morde alla caviglia. Euridice muore e Orfeo non si dà pace. È così disperato che decide di sfidare i limiti dell’umano, scendendo negli inferi, pur di riportarla in vita, perché senza di lei, niente ha senso. Riesce ad incantare con la sua arte Caronte, Cerbero e altri ostacoli sulla sua strada che lo porta alla corte di Ade e Persefone, i regnanti di quel luogo dove l’uomo non può spingersi. Persuade anche loro potendo riportare in vita Euridice, ad una sola condizione: nel corso del tragitto che li avrebbe portati fuori dagli Inferi, Orfeo non si sarebbe mai dovuto voltare indietro verso la sua amata, con Ermes araldo degli dèi, garante del patto, ad accompagnarli. Euridice non conosce il doloroso accordo e in preda alla malinconia chiama Orfeo, che traboccante di dolore, non si volta, conscio dell’obiettivo da perseguire. Sulla soglia dell’Ade, Orfeo vede la luce, credendo di essere uscito dal regno dei morti e si volta immediatamente verso Euridice, che improvvisamente accusa un dolore alla caviglia, lì dove i canini di una serpe le avevano iniettato la dose letale. Orfeo non ha rispettato le condizioni dell’accordo e vede Euridice scomparire davanti ai suoi occhi, per sempre.

Orfeo ed Euridice, Antonio Canova, 1775-1776. Museo Carrer, Venezia.

Anche Vincenzo Nibali, ha sfidato i limiti imposti dai pronostici gettandosi in una personale discesa agli Inferi (dal Poggio, ndr). Ma a differenza di Orfeo non si è voltato. Fra le mille leggi non scritte del ciclismo ce n’è una che stabilisce una regola fondamentale: “in caso di attacco negli ultimi chilometri, non ci si volta fino alla linea del traguardo, altrimenti potresti scorgere il gruppo, spaventarti, perdere ritmo e concentrazione. Se ti volti, non vinci.” Alla Milano-Sanremo, la dolce ninfa da proteggere non era Euridice, ma Vittoria, forse colei che ossessiona i campioni, quella per cui perdere il sonno e dedicarci un’intera vita professionistica. Quella che Vincenzo è condannato ad inseguire, anche solo per il nome inciso sul certificato di nascita, depositato presso il comune di Messina il 14 novembre 1984. Anche se la vita non funziona a compartimenti stagni; è più una lunga e inestricabile matassa di linee narrative, che si intrecciano fra loro come una sceneggiatura da Oscar. O come una raccolta di miti greci.

Fra queste linee narrative, c’è anche la mia. Misera, da tifoso, sin dalla pubertà appiccicato allo schermo ogni volta per capire cosa mai si sarebbe inventato quel signore siciliano per sorprendere. Da una certa parte in poi mi sono accorto che le gare e spesso le vittorie dello Squalo, cominciavano ad essere un po’ il sottofondo della vita che scorre, delle prime carezze, dei primi baci, dei primi amori, delle prime delusioni. Delle scelte complicate, la carriera universitaria, il senso di vuoto, la ricerca infinita di una dimensione e di un’identità cercando di sfidare i propri limiti imparando ad agire. Crescere no? Io sono cresciuto con Vincenzo Nibali.

Adesso che si è concluso questo sublime arco narrativo, mi volto indietro e cosa mi resta? Pile di video da guardare su internet, due prime pagine incorniciate della Gazza appese in camera e un cuore gonfio di nostalgia. Ma quanta fantasia, quanta emozione, quante lacrime, come quel 17 marzo 2018 con la Sanremo alla tv, in quel bilocale di Bovisa.

Il tempo resterà e anche un’altra cosa. Ogni volta che mi troverò ai piedi di una salita, in bici o nel dipanarsi dell’esistenza, mi alzerò sui pedali, e nella testa un’altra telecronaca di Pancani.

“Parte Nibali, parte adesso Vincenzo Nibali. Non attende le mosse degli alti ma è lui il primo a rompere gli indugi”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *