Con la recente invasione russa dell’Ucraina si è tornatə a parlare continuamente di guerra, morti e armi. Ritorna la paura di una tragedia come quella di Hiroshima e Nagasaki, memori di una storia ancora troppo recente per poterne essere distaccatə, sia per chi la ha vissuta direttamente, sia per chi l’ha studiata sui libri. Si riapre una ferita che sembrava essere quasi chiusa, quella di un disastro nucleare che potrebbe toccarci direttamente.
E in tutto questo ritorna quasi costantemente una domanda: come e perché si è arrivatə a costruire un’arma come la bomba atomica?

La storia della Fisica nucleare in realtà è molto recente, soprattutto quella che ha portato alla creazione delle armi nucleari.
L’inizio è segnato dagli studi di Enrico Fermi grazie ai quali ha ricevuto il Nobel nel 1934, seppur male interpretando il fenomeno della fissione nucleare, che è alla base del funzionamento della bomba. Solo nel 1938 un gruppo tedesco-austriaco ne dà un’interpretazione corretta: un nucleo pesante e radioattivo, se colpito da un neutrone, può dividersi in due nuclei più leggeri.
Il successivo punto fondamentale è stato comprendere che questo processo porta anche all’emissione di altri neutroni (scoperta sia di Fermi che dei coniugi francesi Curie del 1939), che possono dare origine a una nuova fissione. È quindi possibile una reazione a catena, e poiché ogni divisione porta una grande emissione di energia, nasce l’idea che sia possibile realizzare una bomba.

La guerra scoppierà qualche mese dopo questa scoperta, ma l’idea della realizzazione di un’arma così pericolosa aveva già diviso la comunità scientifica. Come riporta Pietro Greco in Hiroshima – La fisica conosce il peccato – da una parte c’era chi, come Einstein, era convinto che la ricerca andasse fermata; dall’altra chi metteva in primo piano il cosiddetto progresso scientifico, ritenendo impossibile fermare la ricerca e lo sviluppo scientifico. Di questa seconda fazione facevano parte sia coloro che ritenevano improbabile l’effettiva realizzazione della bomba, fermata dal senso etico delle persone, chi intravedeva nella fissione una possibilità economica più che militare, e chi era solamente interessatə alla ricerca, rimanendo in qualche modo distaccatə da questo discorso. La storia ci rivela chi ha avuto la meglio in questa disputa. La bomba è stata realizzata per la prima volta negli Stati Uniti nel 1942, grazie al Progetto Manhattan, cui parteciparono molti dei più importanti scienziati del Novecento.

La domanda che nasce spontanea è come sia stato possibile sorvolare sulla pericolosità di un’arma del genere. La comunità scientifica si è nascosta dietro la narrazione della scienza come entità a sé stante e distaccata dalla realtà sociale. Da questo punto di vista, la ricerca dovrebbe procedere come se si stesse scoprendo una verità nascosta, come se le leggi della fisica fossero scritte in un grande libro invisibile di cui dobbiamo leggere le pagine.

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In realtà questo libro lo scrivono le persone stesse, o meglio lə ricercatorə. Le leggi scientifiche vengono costruite sulla base delle scelte e della visione di chi le formula, dei contesti politici e sociali in cui gli stessi vivono. Basti pensare a quanto la direzione della ricerca dipenda dai finanziamenti e da come questi siano indirizzati diversamente in base alle richieste sociali. Questo non rende i risultati di ricerca meno veri, tutto quello che descrive come funziona il mondo intorno a noi è corretto, ma è stato comunque costruito da noi. Ma questa è una consapevolezza che si è radicata più tardi, con lo sviluppo tra gli anni 60 e 80 degli Science and Technology Studies (Studi sulla scienza e la Tecnologia, STS), un ambito di ricerca fortemente interdisciplinare che si occupa proprio di studiare queste interconnessioni.

Il caso della bomba atomica è proprio uno di quelli in cui il legame tra la scienza, la società e la tecnologia si è palesato in maniera evidente. Indirizzare la ricerca in quella determinata direzione è stata una scelta specifica, dovuta ad un particolare contesto sociale e soprattutto politico. Motivo per cui era ed è tuttora impensabile pensare che i risultati della ricerca siano distaccati dalla vita delle persone, che la scienza debba in un certo senso proseguire da sola e che non abbia effetti sulla realtà che viviamo.

Rimane comunque aperto il dibattito sul come debba essere gestito il rapporto tra la scienza e la società. Non esiste una risposta definita e polarizzante, neanche nel caso della bomba e della fissione nucleare. Quello che è certo è che bisogna sviluppare la consapevolezza che qualsiasi scelta, di ricerca o anche di vita, è sempre inserita in un determinato contesto sociale ed ha delle cause e degli effetti. Probabilmente questa è mancata agli scienziati del Progetto Manhattan, che ne parlano quasi esclusivamente come uno dei più grandi traguardi della scienza, senza veramente interrogarsi sul ruolo che hanno avuto nel contesto socio-politico della Seconda Guerra Mondiale.

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