Costruire la propria identità nei paesi balcanici non è semplice; né per chi è emigrato all’estero né per chi ha continuato a vivere nel paese in cui è nato. Riuscire a liberarsi del retaggio culturale, triste eredità di una storia logora che ha intrappolato le nuove generazioni, è difficile soprattutto per chi fa parte della comunità LGBTQ+.

Prima ancora di quella legislativa, la situazione sociale ostacola il percorso di conoscenza interiore che ogni ragazzə dovrebbe affrontare per poter scoprire il proprio corpo, la propria sessualità e fare esperienza dell’amore in tutte le sue forme. L’educazione sentimentale e sessuale sono represse da una taciturna violazione dei diritti del corpo attuata dalla società, che mette in primo piano il valore della reputazione della famiglia.

«Cosa penserebbero di noi se tu fossi ***?»

Oltre a questo, la vergogna e il ripudio sono gli impedimenti interiorizzati dallə adolescenti che vivono in ambienti governati da un regime patriarcale, che li reprime invece di offrirgli supporto psicologico. In questi contesti, fare coming-out significa rischiare di essere cacciati di casa e sottoporsi a violenze verbali e fisiche, che sono le risultanti di gravi traumi intergenerazionali.

Una delle cause salienti della difficoltà della società ad accettare la comunità LGBTQ+ e tutti i suoi diritti è sicuramente quella storica. Molteplici eventi drammatici hanno segnato i territori balcanici, dalla Croazia al Kosovo; fra politiche conservatrici e religione, strettamente radicata nella cultura dei diversi Paesi, il dolore è sempre stato vissuto nel silenzio. Quali sono state le conseguenze? La crescita di un popolo chiuso, frammentato interiormente e fossilizzato nella concezione che i western values siano da evitare.

Le comunità marginalizzate sono estremamente colpite da questa mentalità che costringe a sentirsi anormali, perché ciò che viene visto da fuori è interpretato come un male da curare. E se il contesto familiare spesso è nocivo per la salute mentale, non sempre è possibile trovare questo appoggio in una chosen family[1]: la paura di non essere accettati pervade ogni aspetto della vita di una qualsiasi persona. Amare un essere umano dello stesso genere, non identificarsi con il proprio sesso biologico o vivere la sessualità liberamente potrebbe essere considerato pericoloso; la dittatura morale in corso impedisce il completo riconoscimento della propria identità, generando vergogna.

Nonostante la politica abbia fatto dei passi avanti negli ultimi vent’anni, soprattutto per prepararsi formalmente all’entrata in UE, questo non implica che il sostrato socioculturale rispecchi le linee guida adottate dai parlamentari più moderni e liberali. Nelle realtà rurali, non necessariamente lontane dalle grandi città, il comando patriarcale e le tradizioni saranno sempre più importanti da preservare rispetto alla degenerazione dei costumiPer questo, determinate questioni continueranno ad essere ignorate o censurate.

Fortunatamente in tutti i paesi dell’area balcanica occidentale si svolge il Pride:

Le voci di tutta la comunità si sono fatte sentire e con il passare del tempo il lavoro dellə attivistə, fuori e dentro i social, contribuisce a dare uno strumento importantissimo a chi non trova le parole per identificare se stessə, per mettere a nudo i processi psicologici che si attuano nei contesti in cui l’odio tramandato cerca di schiacciare le categorie più discriminate. La presa di coscienza costituisce un elemento fondamentale di riscatto per i diritti della comunità, facendo sperare in un futuro migliore.

[1] Chosen Family: famiglia scelta, i cui componenti non sono necessariamente legati da legami biologici. Concetto fondamentale per la comunità LGBTQIA+ in cui spesso si formano legami che non possono essere riconosciute ufficialmente. Esempi sono le coppie non riconosciute a livello legale, o le houses che gareggiano nelle ball americane, spesso formate da persone rinnegate dalle proprie famiglie, che trovano sostegno in altre persone della comunità.

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